Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Sguardi sconnessi  
Dossier AKSÈ: #6 - Metariflessioni in forma di lettera      
di Chiara Alessi      

Caro Lorenzo,

probabilmente una certa onestà intellettuale avrebbe dovuto trattenermi dalla lusinga di comporre la postilla che mi chiedi. D’altra parte al voto di “chiarezza” che campeggia così irreprensibilmente nitido tra le tue righe forse spettava di inibirti dal proporre a me una sintesi definitoria (o definitiva?). Ma io, che sono un po’ vanesia e come te poco corretta politicamente, non riesco a rinunciare all’occasione e abbocco all’esca o all’adescamento.

Ebbene, un po’ per celia, un po’ per presunzione siamo incappati nel bel mezzo della paradossale ingiunzione: la metariflessione che domandi è nei fatti una meta-meta-riflessione: sostanzialmente, per coincidenza, un quarto. Scherzo, quest’ultima è chiaramente una battuta facile e infelice, ma è proprio in quattro che abbiamo dato vita a una matrioska a-bissale di specchi trasparenti e opachi che riflettono, distorcono, rifrangono instabilmente attraverso concavità e convessità moventi. A questo punto mi chiederesti di piazzare una focale fissa, pur sapendo che stabile non sarà certo, come non sarà mai dato di sapere con certezza chi si muove.
La mia tenuta emotiva è messa a dura prova. E mi piace.

E sto al gioco di riflessione e provo a riflettere.

Procederò per paralogismi e paradossi, un po’ paraculo se ti va’.

Esplodevano universi, lingue implose che imploravano uno spazio.

Conflagravano punti di vista, deflagravano in luoghi di fuga. Io, te generici e gli infiniti noi.

Who is who?

Emigrando si chiedeva di imparare il ruolo di straniero, conoscere l’estraneo, confondersi con l’ospite. Trovarsi spettatori: colui che aspetta, colui a cui spetta. Poi tradurre. Ma chi tradisco?

Il mio sguardo che modifica, la mia lingua che contamina a sua volta esce più impura. E questa è la purezza che collima probamente con l’esigenza intrinseca dell’osservatore. Non fabbricare parafrasi volgari, non escogitare plagi un po’ scadenti dell’originale. Non innalzare cittadelle difensive, non annullarsi ingenuamente nelle parti, ma rimanere super tanto per sorvegliare.

A volte si smarrisce nei cervelli, si guadagna nell’udito, ma si può perdere di vista.

Si può scegliere che cosa far vedere?

Senz’altro cosa sorvegliare e come far notare, creando connessioni.

Sicuramente di vedere ciò che non è mostrato, di spiare.

Trasformo. Traduco. Tradisco chi guardo e a chi faccio guardare.

Sappiamo di dividere, scegliere, distinguere, spiegare, come vuole il greco nostro etimologo.

Sappiamo di essere stranieri in patria, indigeni all’esterno.

Siamo altro: né di là né di qua ma neppure a metà strada.

Siamo su una meta-strada e a seconda dell’estremità da cui mi guardo sono un’ombra che anticipa o che segue.

Ora tu mi vorresti sagoma di un’ombra. Doppio del doppio. Di nuovo quattro e uguale a uno.

Ritrovarsi singolo nel gruppo mi restituisce un’identità più forte che da sola.

C. V. non è una somma, non è una sintesi perché non ci può essere dialettica solvibile che porti a una media, e forse C. V. non è la definizione che volevi.

Mi piace non concludere, evitare di finire, definire quasi mai: questo è il presente.

Quanto al passato: mi attira condividere principi permanenti, divorziare per poetiche incoerenti. Per il futuro?

Vorrei accettare e aderire alla domanda ricorrente che mi assilla del “che ci faccio qui?”.

Vorrei che l’ansia interrogativa si risolvesse sempre nel paradosso irrisolvibile che stiamo creando.



Chiara

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -