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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Visioni da Bruxelles |
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Br#04, quarto episodio della Tragedia Endogonidia. |
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Bruxelles, 4-7 maggio 2003
di Gian Maria Tosatti
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Della prima metà del ciclo tragico cui appartiene, l’episodio Br#04 è forse il più quadrato, il più compiuto in sé stesso. Un punto nodale essenziale per comprendere il rapporto fra le figure e l’azione generale. Dalle prime azioni alla sua conclusione esso obbedisce ad una dinamica semiologica assai precisa, i cui rimandi si intrecciano tutti dentro il perimetro bianco dello spazio (e del tempo) senza esaurirsi però in esso. Br#04 è l’episodio in cui le figure presentate negli episodi precedenti, iniziano ad organizzare il disegno che determinerà il nucleo tragico del ciclo. Ed anche I piani delle forze che in esso aggiscono iniziano a differenziarsi, a delinearsi i contorni di diverse gerarchie.
L’apertura si serve di una delle figure di collegamento del ciclo. La donna delle pulizie.
Siamo all’origine. Alla preparazione. Un androne bianco di marmo, vuoto. L’anticamera di una civiltà. Il sipario si chiude. Quando si riaprirà la stessa scena vuota, ingravidata del seme umano. A terra un bambino neonato che guarda stupefatto una balia robot, una sorta di “guida”. Il neonato sparisce, ma non si ha l’idea della sottrazione, quanto dell’espansione… E’ come se si fosse espanso nello spazio, scisso e moltiplicato in milioni di molecole che a loro volta si trasformeranno in bambini. E’ la nascita di ogni nuova era. Di ogni popolo, credo o, appunto, civiltà.
In questa camera incinta, un uomo attraversa lo spazio. Ha l’aspetto di un vecchio immortale, di un veggente, che fende i parti delle epoche col suo passaggio, col suo sguardo. E’ una figura familiare. Né Tiresia, né San Pietro, ma prima ancora la matrice di queste due personificazioni “mitologiche”. Matrice che assomma su di sé abiti e paramenti, paradossalmente parificati dal loro sovrapporsi sul corpo del vecchio. Un costume bikini, un camicione, paramenti liturgici e, infine, un’uniforme da poliziotto. Poi siede in un’attesa atemporale.
Dall’altra parte dell’androne si prepara un antefatto culturale. Tre poliziotti costruiscono una scena del delitto senza il morto. Si versa sangue finto a terra. Finché uno di loro si spoglia e si presta all’infame mascherata. Si sdraia sul sangue. Gli altri due eseguono la loro partitura picchiandolo coi manganelli con estrema violenza. Le tavole della legge vengono dissigillate dal loro involucro sterile. Bianche. A terra è facile associare all’uomo picchiato la figura di Cristo. L’azione riproduce il suo accettare una missione di morte, ma ne ribalta il senso. Cristo diventa l’esecutore di una volontà di dominio, il kamikaze perfetto (ritroveremo la figura del Cristo associata a quella del kamikaze nel sesto episodio), diventa la pedina sacrificale per la riscrittura del Testamento, mossa ad arte da misteriosi oscuri mandanti. Al braccio porta una fascia numerata, come presumibilmente anche i suoi colleghi ancora in uniforme, corpo di guardia di una “massoneria analoga”. Uno vale l’altro, è l’azione a contare. Il Cristo è inerme sul pavimento. Lo strumento è pronto. Uno dei poliziotti si seve del suo piede sanguinante per abbattere il simbolo della Legge, con gesto rituale. Col suo sangue “finto” si scrive la storia. Il suo silenzio è amplificato da un microfono. Poi è tempo che le prove spariscano. Il fatto si è consumato il Testamento è scritto. Chiuso in un sacco della spazzatura il Cristo numero 5 vomita e soffoca. Prega, Ave Maria.
Arrivano sulla scena i “mandanti”. A loro il compito di dar corpo al mito. Un rito ancestrale come quelli che appertengono all’Endogonidia rivolta le tavole, le fa nere e infettate dai capelli orribili e soffocanti di una delle sacerdotesse. Saranno poi quelle le tavole che ci torneranno davanti negli episodi successive. Quella la Legge.
Adesso è tempo per Tiresia di scomparire. Col suo passamontagna bianco, dentro la sua stessa ombra nel materasso di un letto d’ospedale.
Nel frastuono nella vita il bambino lunare, uno dei “mandanti” attraversa lo spazio. Vigila sulle sorti della gravidanza.
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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