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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Cristo si è fermato a Ostia |
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"Les machinations les plus saugrenues et les plus coupables" #2 – Al via l’undicesima edizione de Le vie dei Festival. |
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Roma e Ostia, Teatro India e Teatro del Lido. Dal 27 ottobre al 10 novembre.
di di Gian Maria Tosatti
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Al via questa settimana l’undicesima edizione de Le vie dei Festival di Roma , un’edizione ristretta che riflette la difficoltà sempre maggiore degli organizzatori a sviluppare un dialogo progettuale con le istituzioni da cui dipendono i finanziamenti.
Osservando il programma (mazzo “confinato” ad Ostia) si può allora parlare di edizione di resistenza. In un anno che cerca di garantire continuità al progetto con le ridotte risorse a disposizione. In attesa di tempi migliori.
Ma a parte gli artisti e i lavori che saranno ospitati dal festival, quello che ci pare interessante rilevare è l’elemento esemplare de Le vie dei Festival di quest’anno, il primo in cui l’associazione Cadmo (che ne ha la direzione) ha rinunciato alla pubblicazione dell’utilissima guida ai festival italiani ed europei.
Aprendo un inciso a tale riguardo, si dirà che è sempre preoccupante veder scomparire iniziative editoriali in questo Paese, perché ciò inevitabilmente porta alla concentrazione di informazioni (sia pure informazioni di settore) nelle mani di pochi o pochissimi editori forti, il cui potere si ingrandisce fino a diventare un peso troppo gravoso per gli equilibri di pluralità che garantiscono la prosperità di un sistema culturale.
E si prenderà questo fatto a pretesto per dire come al presente quella de Le vie dei Festival sia stata per Roma un’occasione mancata o forse qualcosa di più. Il quadro della sua storia riflette da una parte il valore di un impegno forse non capito dalle amministrazioni, e dall’altra un gioco al ribasso da parte di queste ultime che è forse il male che sta affliggendo il nostro sistema culturale fino a metterlo seriamente in pericolo.
Il rapporto fra il Comune di Roma e Le Vie dei Festival in questi anni è stato esemplare, come si diceva in apertura, rispetto a quel rapporto perverso che abitualmente si stabilisce fra un’associazione culturale e i propri referenti politico-economici. I quali, regolarmente, tendono a ribassare, anno dopo anno, risorse già esigue facendo affidamento sulla capacità e la volontà di resistenza di chi organizzando e credendo in un progetto culturale valido farà di tutto per salvarlo, per non farlo morire.
Il laccio al collo impedisce alle associazioni indipendenti di poter produrre una progettualità in grado di imporle come soggetti autonomi, capaci di avviare un dialogo forte con il proprio pubblico. In tal modo il grosso del potere in fatto di politica culturale si concentra sempre di più nelle mani e sotto il controllo degli assessori, rimanendo legato all’impatto mediatico di grandi eventi isolati e sponsorizzati, direttamente organizzati dagli uffici dei burocrati.
Ma inutile dire che il “concertone al Colosseo”, portasse anche dieci milioni di persone in piazza, non avrà mai, a livello di valore, lo stesso impatto di un’articolato progetto artistico che anno dopo anno costruisce il suo linguaggio e la sua comunicazione in una città.
Le vie dei Festival è stato questo per quasi dieci anni, una grande kermesse di artisti internazionali il cui transito autunnale a Roma aveva il valore di una semina per quelle tendenze che a breve avrebbero invaso i nostri palcoscenici internazionali. Un impegno programmatico di grande valore che era stato capito dal pubblico e che veniva seguito con grande interesse stagione dopo stagione, negli anni in cui, su quella ribalta, si scoprivano registi come Eimuntas Nekrosius, Alain Platel, William Kentridge.
Oggi a pagare tale politica di controllo sono soprattutto i romani, cui vengono sottratti punti di riferimento e di orientamento importanti. I programmi che si vorrebbero costruire diventano quelli che si “possono” arrangiare, la copertura mediatica che si dovrebbe fare per rendere ottimale il dialogo col pubblico diventa una copertura insufficiente, la guida annuale ai festival di teatro diventa l’assenza della guida, il ruolo centrale di un’iniziativa a Roma viene spostato fisicamente in periferia come accadeva agli avversari politici in tempi sospetti. (Speriamo di non doverci spostare ai Castelli Romani per seguire l’edizione 2005 del festival).
Detto questo ci par giusto presentare sinteticamente il cartellone disegnato quest’anno da Natalia Di Iorio. Ad aprire il festival sarà un gruppo internazionale di grande interesse, il Big Art Group di Caden Manson, formazione newyorkese già presente a Roma nella scorsa edizione de Le vie dei festival col dissacrante Flicker, e che con House of no more (Teatro India dal 27 al 31 ottobre in prima ed esclusiva nazionale) prosegue la propria indagine poetica sulla creazione di un linguaggio polimofico che mescola teatro, televisione, commedia, film horror, trash TV, nel quadro di una satira sociale altamente tecnologica.
Gli altri eventi guardano invece alla scena italiana. Sarà ospite del Teatro India dal 28 al 30 ottobre anche il Teatrino Clandestino con Madre e Assassina e a seguire (2 e 3 novembre) Le Pareti della solitudine, spettacolo dalla forte impronta musicale diretto da Massimo Luconi.
La programmazione si sposterà poi ad Ostia, Teatro del Lido, dove a La Molli. Divertimento alle spalle di Joyce, di Gabriele Vacis e Arianna (9 novembre) seguirà Braccianti. La memoria che resta di Armamaxa Teatro, spettacolo attorno al quale si è concentrato grande interesse nella passata stagione (10 novembre).
Per informazioni: 06.3202102.
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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