|
|
Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Malasanità |
|
Il doping è illegale se non rientra nei parametri imposti dai controllori
Un editoriale |
|
|
|
di Gian Maria Tosatti
|
|
|
|
|
Mi sono trovato spettatore dei Premi Olimpici del Teatro e contro tutte le possibili prevenzioni polemiche che potevano aver la meglio su di me è stata una domanda semplicissima a prendere il sopravvento.
“Ma questi premi rappresentano veramente il teatro italiano?”
Perché se non fosse così allora cosa rappresenterebbero? Scorro non solo la rosa dei premiati, ma anche le candidature, o per dirla all’americana, le “nominations”. E manca tutto, o meglio quasi tutto. Qualcosa di rappresentativo c’è: le produzioni dei Teatri Stabili e, per gentile concessione la voce “Miglior spettacolo d’Innovazione”. Vincitore di quest’ultima categoria Giancarlo Sepe, con “Favole di Oscar Wilde”, spettacolo bellissimo, che è quesi offensivo definire d’Innovazione, perché conscio delle lezioni del Novecento, da Craig al cinema, il lavoro di Sepe è un esempio di creazione contemporanea nella misura in cui questo aggettivo s’intende non come etichetta stilistica, ma come “declinazione di tempo”.
Questo solo per dire che neppure lo spettacolo di Sepe, senz’altro meritevole di esser premiato, è rappresentativo della sua categoria.
L’avaro di Gabriele Lavia è stato il migliore spettacolo dell’anno? E’ possibile. Ma quello che mi lascia perplesso è la composizione della terna dei candidati. Completano il tris L’opera da tre soldi di Pietro Carriglio e il Questa sera si recita a soggetto di Massimo Castri. Tre produzioni di teatri stabili. Tre spettacoli rappresentativi di “un solo” teatro. (Non che non vi siano differenze fra i tre registi, ma il parto è lo stesso).
Nessuna attenzione ai percorsi progettuali. Nessuna attenzione a lavori che esprimessero logiche di produzione alternative. Nessun candidato proveniente da forme di teatro che hanno caratterizzato il Secondo Novecento come, ad esempio, il teatro-danza. Solo nella voce “Migliore novità italiana” qualche bagliore di luce proveniente da fuori, ma solo perché si sa che la drammaturgia da teatro stabile se non è ferma a Pirandello arriva al massimo alle caviglie di Brecht.
Ma a parte i verdetti, sempre ragionando sulle terne, si proceda per ordine:
Miglior spettacolo di prosa: tre su tre produzioni di teatri stabili.
Miglor regia: tre su tre produzioni di teatri stabili
Miglior attrice protagonista: tre su tre da produzioni di teatri stabili
Miglior attore protagonista: tre su tre da produzioni di teatri stabili
Miglior scenografo: tre su tre da produzioni di teatri stabili
E basta…
Insomma, andare avanti sarebbe inutile mi pare.
Ora la domanda è questa: è plausibile che i teatri stabili siano davvero in grado di raggiungere l’eccellenza occupando tutti e tre i posti nei podi più prestigiosi. Se lo fosse, allora avremmo la migliore delle gestioni culturali che si possa immaginare. Allora le critiche che piovono da ogni dove sarebbero veramente ispirate dalla bile dei soliti invidiosi. Allora gli operatori stranieri che producono e ospitano compagnie come la Societas Raffaello Sanzio, i Motus, Pippo Delbono sarebbero veramente i soliti snob (anche un po’ comunisti). Allora saremmo veramente in un Paese in cui i soldi vanno nel posto giusto e nella giusta quantità. Allora i bravi artisti non dovrebbero far altro che prendere il numeretto e mettersi in fila allo sportello di accettazione del più vicino teatro stabile (e se non vengono neanche ricevuti è solo perché in quel teatro sono già impegnati un numero cospicuo di artisti migliori). Allora strutture come gli stabili d’Innovazione, i festival, le associazioni di teatri, sarebbero davvero i gironi cadetti (serie B, C1, C2, Dilettanti) della lega artistica italiana in cui gli stabili rappresentano indiscutibilmente la serie A (non solo a livello economico!). Allora Gabriele Lavia (miglior spettacolo e miglior regia) è Adriano!
Insomma, come dire… basta crederci. Perché forse in questa sequenza di assurde deduzioni l’errore d’impostazione sta nella premessa. In quell’ammettere che sia veramente possibile che una “rappresentativa” (uso un termine sportivo, e visto che i premi si chiamano “Olimpici” non mi pare improprio) vinca il primo, il secondo e il terzo posto. In condizioni normali un risultato del genere farebbe scattare all’istante sospetti di doping…
E nel teatro italiano? No ovviamente, perché questo risultato sta bene al Ministro in persona, coautore di questo quadro, e a Mico Galdieri, presidente dell’Ente Teatrale Italiano, organo centrale di monitoraggio e promozione del teatro, che organizza i premi in magnifico accordo con la politica aziendale attuale, o meglio in conseguenza di essa.
Come dire… se i controllori fanno anche i pusher…..
P.S.
Un augurio di buon lavoro alla nuova commissione ministeriale. Superare il buon operato della precedente sarà davvero cosa dura.
|
|
|
|
|
L’ultimo numero di LifeGate Teatro
|
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
|
|
|
|
|