Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Materiali per un Teatro futuro: #5    
     
Un editoriale di Roberto Castello
di Roberto Castello
     

Mi capita spesso di domandarmi che senso abbia oggi fare spettacoli, a chi mi rivolgo quando realizzo i miei lavori. Non sono molti oggi quelli che vanno a teatro e fra questi non sono la maggioranza quelli che sembrano andarci per scoprire qualcosa o per confrontarsi con un pensiero. I più sembrano cercare meraviglia, intrattenimento, divertimento, in sostanza conferme di ciò che già conoscono. Forse è normale ed è sempre stato così. Ciò che sicuramente non è però sempre stato uguale è il ruolo che il teatro ha nella società. Dal dopoguerra ad oggi, dagli anni di Strehler in cui il teatro era un fatto sociale rilevantissimo alla marginalità odierna, la vita e i consumi culturali delle persone sono radicalmente cambiati. Oggi il dato saliente è l'omogeneizzazione planetaria dell'industria culturale, il suo entrare in tutte le case tramite radio e televisione. In Canada, in Uganda e in Corea si fanno le stesse trasmissioni TV, in tutto il mondo si vedono gli stessi film, si ascolta la stessa musica, si vede la stessa pubblicità, si vendono gli stessi best sellers, si rincorrono gli stessi miti e gli stessi narcotizzanti modelli culturali. E' giusto in questo scenario del tutto nuovo continuare a pensare al teatro secondo i parametri di ieri? Il bello, i sentimenti, l'umorismo oggi sono in vendita al supermarket dell'intrattenimento. Come mai allora molta critica, anche di quella onesta, continua ad applaudire spettacoli innanzitutto piacevoli e ben confezionati? Il mondo che ci circonda, in particolare in questi anni di dilagante cretinismo neo conservatore, non è meraviglioso, perché dovremmo fare finta di niente nascondendoci dietro un corretto professionismo? Perché dovremmo partecipare anche noi alla rincorsa al consenso e al successo quando c'è una ricchissima e invadentissima industria dell'intrattenimento disposta a qualsiasi cosa pur di raggiungerlo e fare soldi?

Che spazio rimane ancora per l'arte?

La specificità del teatro è che in un certo luogo e a una certa ora si incontrano delle persone. Alcune che fanno e dicono cose, altre che stanno a guardarle e ascoltarle. Questo non potrà mai essere trasformato in consumo di massa perché è antieconomico e irriproducibile su scala industriale. Non ha senso quindi che il teatro si ponga il problema di soddisfare il 'pubblico medio'. La sua forza risiede nel suo essere una roccaforte dell'umanesimo, un posto dove chi parla e chi ascolta si vedono in faccia. La sua forza risiede nel non dipendere dal consenso della massa ma da quello degli individui. Il teatro avrà sempre mille voci diverse e non potrà mai essere monopolizzato come lo sono i media, il cinema e la musica.

Credo sia necessario partire da qui per tentare di ridefinire il nostro ruolo collettivo e ricostruire un nostro pubblico.

Andare a teatro oggi è in se un atto politico, un sottrarsi per un momento alla comunicazione pervasiva. E cosa vogliamo dare a chi ha già fatto questo piccolo atto di ribellione se non onestamente i nostri pensieri in forma di atto teatrale, per ostici che possano essere? Vogliamo riproporgli in piccolo, con meno mezzi e forse peggio, ciò da cui è appena fuggito?

Da molto tempo l'idea sociale del bello è definita dai media attraverso il martellamento conformista e conformatore della pubblicità. Adeguarsi ad essa per raggiungere platee più vaste non è astuzia, è la strada di chi è sconfitto. La nostra forza sono le nostre mille individualità, il nostro bisogno e il nostro coraggio di dire ciò che crediamo giusto e bello. Il teatro ha senso quando è onestamente radicale e ha il coraggio di perseguire strade nuove, anche sbagliando. Il pubblico deve esserne parte attiva reimparando, quando è il caso, a manifestare anche rumorosamente il proprio dissenso. Il teatro non deve limitarsi ad essere un piacevole e rassicurante rito sociale, deve essere un luogo che scatena discussioni, un luogo del pensiero.


L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -