Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


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Progettare fuori dal sistema    
Polaroid #3.      
Potenzialità e strategie per la rinascita di un Teatro d'Arte in Italia.
di Gian Maria Tosatti
     

Questo articolo è stato concepito all'inizio dell'anno come "terza pagina" di carattere divulgativo per un quotidiano nazionale, sul quale non è ancora stato possiblie pubblicarlo. Nel frattempo ne presentiamo una versione non definitiva ai nostri lettori.

Il 2003 s'è chiuso con un esteso dibattito nell'ambito del Teatro contemporaneo. Al fuoco della discussione è stata la presa di coscienza di un dato che già da tempo aveva mostrato la propria evidenza. Si tratta della costatazione di come il sistema teatrale vigente non sia più in grado di rappresentare il reale fermento artistico e culturale. Laddove per sistema teatrale si legga la combinazione di tre elementi principali: 1) gli interventi ministeriali legati alla riforma di enti (vedi la Biennale) e alla ripartizione del Fus; 2) il nuovo corso Eti, che di fatto pecca come osservatorio e manca di una progettualità atta a garantire lo sviluppo delle forme artistiche e delle proposte sul territorio; 3) la sclerotizzazione dei Teatri Stabili e degli Stabili d'Innovazione su formule logore che in nessun modo riflettono un reale ascolto delle esigenze della nuova scena.

Non si analizzeranno qui tali accennate questioni, ma a partire da esse si vorrà presentare una prospettiva di superamento che oggi inizia a prendendere corpo.

Lo scorso dicembre ha visto pubblicare, sulle pagine di giornali e riviste, un animato confronto epistolare tra diversi rappresentanti del nuovo teatro italiano. Ha iniziato chi scrive, con una "Lettera semi-aperta ad alcuni artisti", in cui si esortavano quelle personalità che da vent'anni esprimono alcune tra le più alte linee poetiche internazionali, e che pure (e forse proprio per questo) sono fuori dalle spartizioni di potere, a trovare una nuova strada, fuori dai teatri, per sanare la frattura col pubblico, e recuperare su di esso un'incidenza reale. Da qui in molti hanno cercato per iscritto di ragionare concretamente sul tema, fino alla pubblicazione di un altro intervento importante, quello della compagnia ravennate Fanny & Alexander, una delle principali realtà italiane presenti in Europa, che denunciava la totale mancanza di attenzione per il proprio lavoro in Italia (nessun teatro ospiterà il loro ultimo ed interessante spettacolo) e per quello di gruppi importanti e di indiscusso valore come il Teatro Valdoca (due sole piazze per il nuovo spettacolo), Danio Manfredini ed altri, determinando la difficoltà di questi ultimi a poter sopravvivere ("Di fatto questo Paese ci sta vomitando" si legge nel preoccupato appello).

Ad un analisi neppure troppo approfondita, che voglia spingersi anche un po' a ritroso lungo una leggibile linea di sviluppo temporale, la ragione che regge il dato presentato dagli artisti è quella di una crisi di tali realtà motivata da una loro mentalità organizzativa troppo vincolata appunto ad un sistema che "di fatto, per una serie di note ragioni, rigetta lo spettacolo d'arte". Forse più facile a dirsi che a farsi, la soluzione che si prospetta è dunque una: quella, per il Teatro d'Arte, di progettare fuori dal sistema. Di costruire concretamente nuove strutture e infrastrutture culturali in grado di poter sostenere la rinascita di un teatro che si dimostri realmente necessario, come poteva esserlo il teatro greco, quello elisabettiano, fino alle principali esperienze del '900.

Progettare fuori dal sistema significa, lontando da sterili idealismi, per prima cosa cercare concretamente la possibilità di poter esistere attraverso il lavoro e l'occupazione. Ad oggi sono poche le strutture in Italia in grado di farlo, ma la loro esistenza è da considerarsi come una testimonianza importante a garanzia della praticabilità dell'ipotesi.

A Bologna da diversi anni è attiva Xing, una struttura di produzione e diffusione per le arti perfomative, che non riceve alcun finanziamento statale e che attraverso la ricerca di partnership e di sponsor privati riesce a sostenere tutta quella fetta di ricerca innovativa che altrimenti non troverebbe appoggio sul nostro territorio, e ad essere punto di riferimento per l'Italia in Europa. Un altro dato importante è quello relativo all'apertura, il 27 dicembre a Firenze, dei Cantieri Goldonetta ad opera di Virgilio Sieni, caposcuola della danza contemporanea tricolore, che, anche con la collaborazione di alcuni elementi di Xing, cerca di farsi luogo di interazione tra i linguaggi delle nuove forme artistiche eliminando l'etichetta di teatro, ma identificandosi come uno spazio aperto in cui poter progettare percorsi innovativi. Iniziativa questa che è inserita nell'ottica di una riorganizzazione del quartiere Santo Spirito e che dunque mira stabilire una rete di relazioni strategiche con altre realtà attive nel tessuto urbano, come circoli, gallerie, scuole, musei, laboratori artigianali, negozi, piazze, evitando di chiudere in se stesso le proprie ricerche, ma anzi favorendone il confronto esteso all'utenza generale e non solo al pubblico teatrale.

Un problema singolare è poi quello dei festival, una vera rete infrastrutturale per il Teatro d'Arte, e che pure da diversi anni pare essersi anch'esso adagiato sugli schemi propri del "sistema principale". I cartelloni, infatti, dalle Alpi alla Sicilia, oltre a somigliarsi tutti, sono strutturati nell'identica maniera di una stagione teatrale standard, solo organizzata in tempi differenti. Ne consegue il soffocamento di quanto è realmente nuovo, non solo il singolo spettacolo, ma appunto un nuovo modo di rivolgersi al pubblico, di proporre non soltanto la forma, ma, in maniera ottimale ed articolata anche e soprattutto i messaggi, le urgenze e i perché dell'espressione artistica attuale. Ciò pare determinato dall'assenza di un compito preciso e identificativo che tali strutture dovrebbero auto-assegnarsi, compiti anche semplici, come quelli che ad Armunia (Castiglioncello - Li) e Drodesera (Dro - Tn) riescono a far fare la differenza.

Di contro la critica, che per sua natura dovrebbe fare la sua parte per aiutare il Teatro ed il suo pubblico ad incontrarsi nella maniera più produttiva e stimolante possibile, pare aver fatto l'abitudine, nella sua larga parte, ai soliti giri, alle solite cose, negando la propria attenzione a fenomeni importanti che chiedono un confronto costruttivo con questi professionisti.

Uno di tali fenomeni è senza dubbio quello degli spazi off, dei centri sociali e di tutte quelle strutture autogestite in cui si mescolano in maniera disordinata molte forze artistiche sommerse. In queste strutture, che specialmente in città come Roma rappresentano una grande ricchezza potenziale, il pubblico fa fatica ad arrivare. Ma perché tali spazi possano davvero fiorire bisognerà iniziare ad intenderli come "uscite d'emergenza", luoghi che allo stato attuale non sono particolarmente accoglienti e non lo saranno finché si continuerà a vederli come spazi di transizione, come trampolini di lancio per giovani artisti. Di qui non si butta corrente dentro il sistema teatrale, ma se ne esce. Siamo di fronte a cattedrali diroccate che ristrutturate possono diventare ripetitori di un intelligente alternativa.

Ecco, tutte queste possibilità sono gli strumenti con cui sulla carta il Teatro d'Arte può organizzare un sistema alternativo credibile e competitivo. Ma prima di tutto, per evitare l'errore di chi anni fa avviò quel processo che oggi provoca questa e altre riflessioni di artisti italiani, sarà importante porre al centro il vero fuoco del discorso: il pubblico. Questo, costituito da tutti e non solo dagli "spettatori", deve poter ritrovare una necessità nella propria interlocuzione con l'arte, non basata sull'intrattenimento, ma sulla dialettica sociale, come fu nella tradizione del teatro antico, o di quello elisabettiano o ancora tra i riformatori del '900, in cui la scena era il luogo in cui si decifravano i difficili codici del presente per consegnarli all'assemblea popolare.

Prima di altre considerazioni allora, la domanda da cui partire oggi potrebbe essere: come può un nuovo sistema teatrale dimostrarsi necessario al tessuto civile?

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -