Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


Aggiornato il lunedì sera







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Precisazioni in prima persona al lettore e ai governanti (forse) distratti    
Un editoriale.      
di Gian Maria Tosatti      

Di questi tempi in Italia s'è parlato di Censura. Si è tirato a lungo il discorso fino a fargli assumere toni grotteschi, improbabili. Si è parlato ancora una volta di regime.

Personalmente credo si debba dare un peso alle parole. Quando si censura un artista non si è in un regime, quando si censura un artista si manifesta solo una piaga all'interno dell'azienda che produce l'evento.

Quel che si rischia è di far volare parole importanti come se fossero insulti, di ripeterle così tante volte da logorarle e farle scomparire. Di farle divenire slogan, e poi jingle, rumori di fondo a cui si fa l'abitudine.

Non per un artista si può parlare di negazione della libertà e a ben guardare, la censura è il più ingenuo di quei metodi totalitaristici che investono l'occidente in maniera evidente da almeno trent'anni (sono gli anni che ci separano dalle pagine corsare di Pasolini, qualcuno se lo ricorda?). La negazione della libertà si manifesta molto prima del grossolano bavaglio alla bocca di questo o quel comico. La negazione della libertà avviene nel momento in cui non si permette a più generazioni di artisti di elaborare opere o programmi che possano, per assurdo, meritarsi quella censura che, a volte, fa anche piacere. In Italia oggi si riformano istituzioni importanti, per quello che riguarda la libertà della cultura. E si riformano in modo che non sia più possibile permettere a quegli organismi di operare con la libertà degli anni passati. Non siamo di fronte ad una censura, ma ad una riforma strutturale che sostanzialmente riduce all'immobilità luoghi che per loro natura e storia sono stati motori d'Innovazione. I direttori artistici diventano funzionari, i presidenti, diventano amministratori e il pensiero, rivoluzionario o conservatore che sia, non trova più spazi per "inventarsi". La negazione della libertà non si manifesta in una sola direzione (cioè censurando questo o quel "sovversivo"), ma impedendo che "sovversivi" o "conservatori" possano immaginare, realizzare ad un livello di incidenza profonda , incontrare l'opinione degli altri. Il silenzio (che si produce anche come sordità per overload mediatico), e la solitudine dei sordi sono gli strumenti che oggi corrispondono a ciò che nei paleofascismi rappresentavano propaganda e repressione. I totalitarismi oggi difficilmente si presentano con col fez o coi baffoni, ed anche difficilmente hanno volti riconoscibili come quelli del sempre nominato Signor B. (che assomiglia più ad uno di quei funzionari di provincia che fanno presto a confondere il potere istituzionale con l'investitura regale).

I totalitarismi si manifestano col sostanziale silenzio delle opposizioni, con il silenzio degli intellettuali, con la tolleranza a tutto, perché le alternative che riusciamo a vedere, da più di trent'anni e giorno dopo giorno, non sono poi tanto meglio.

Io, che parlo in prima persona, oggi firmo questo articolo all'indomani della nomina del nuovo consiglio d'amministrazione della Biennale di Venezia. Ma lo faccio senza gridare allo scandalo, perché quello che accade oggi non aggrava più di tanto una situazione già gravissima che negli ultimi anni si è andata sviluppando nel generale silenzio. Per cui chiedo al lettore di non ridurre al suddetto evento la necessità di questo articolo. Articolo che non accusa nessuno, ma ammonisce coloro che oggi firmano, nominano, decidono, che forse la strada che stanno disegnando, centimetro dopo centimetro, davanti ai nostri passi non prevede bivi o svincoli o uscite (qualora non se ne fossero accorti).
Non soltanto una forma specifica di governo o di dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure un sistema specifico di produzione e distribuzione, sistema che può essere benissimo compatibile con un "pluralismo" di partiti, di giornali, di "poteri controbilanciatesi" (...) Sotto il governo di un tutto repressivo, la libertà può essere trasformata in un possente strumento di dominio. Non è l'ambito delle scelte aperte all'individuo il fattore decisivo nel determinare il grado della libertà umana, ma che cosa può essere scelto e che cosa è scelto dall'individuo. (...) Il precondizionamento non incomincia con la produzione in massa di programmi radio-televisivi e con l'accentramento del controllo di questi mezzi. Quando si arriva a questa fase, le persone sono esseri condizionati da lungo tempo; la differenza decisiva sta nell'appiattimento del contrasto (o del conflitto) tra il dato e il possibile.
da L'uomo a una dimensione di Herbert Marcuse

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -