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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Il testo e la scena. |
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Valerio Binasco e Maurizio Donadoni alla corte di Testori per portare in scena Il Dio di Roserio |
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Roma, Cometa Off. Dall’11 al 13 febbraio
di Gian Maria Tosatti
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E’ il 1954 quando Testori pubblica la prima edizione de Il Dio di Roserio, un lungo racconto che andrà ad inserirsi in quella fase “naturalistica” o “neorealista” che porterà lo scrittore alla creazione della prima topografia della sua opera. In quegli anni usciranno per la narrativa e il teatro opere come L’Arialda, Il ponte della Ghisolfa, i Segreti di Milano. Una produzione che inizierà a tessere la prima trama metamorfica sui luoghi dell’infanzia Testoriana, riaffrontati e illuminati da una chiave di analisi sociale, di coscienza di classe. Il quadro che ne emerge è tuttavia un ritratto dalle violente latenze espressioniste, in cui fanno la loro comparsa tutti gli elementi che saranno propri dell’opera più matura dell’autore. Il Dio di Roserio è dunque, assieme alle opere di questo periodo, il primo stadio della trasformazione mitica della realtà biografica in geografia archetipa. Il panorama è quello stra-italiano del Boom, è la Milano post-bellica capitale del miracolo che tanto richiama certe assonanze cupe con la Napoli malapartiana de La pelle. Un quadro impietoso di vinti e perduti sul cui anelito il cielo si chiude come una pressa. E’ il mondo di Pessina Dante, il mondo delle promesse di riscatto, dei miraggi, dell’esposizione titanica delle proprie forze, delle squadre ciclistiche con nomi gonfi di pretese, della “Vigor” del Todeschi.
In questa cornice fitta come al solito di personaggi di contorno, di eventi collaterali, di voci e chiasso a coprire la furia sotterranea delle “passioni” (da intendersi testorianamente in entrambi i sensi) , si muove la vicenda del ciclista Pessina Dante, il Dio di Roserio, corridore dilettante, ma campione, uno che ce la fa, che quelli della Bianchi gli hanno messo gli occhi addosso e che se vince ancora un paio di volte lo lanciano nel mondo del protagonismo, del “Giro”, delle prime pagine sulla Gazzetta. E’ una vicenda drammatica però, che mostra tutta la ferocia di quella scalata, di quella corsa al boom, che trasfigura in maschere bestiali i volti di quelli che vi si lanciano. Il Pessina butterà fuori strada il suo gregario, il Consonni quando lo vedrà tentato di superarlo e supererà a sua volta i rimorsi, i dubbi quando scoprirà che il ragazzo è rimasto scemo a vita e che non può parlare, non può raccontare come i fatti si siano effettivamente svolti. E tra queste scommesse garantite sul capitale della speranza il Pessina vincerà ancora, staccherà tutti, farà vedere “che razza di motore gli gira tra le gambe” e si staglierà come un Dio sul traguardo.
A questo racconto danno corpo teatrale Maurizio Donadoni e Valerio Binasco, ideatori del progetto e protagonisti, il primo sulla scena, il secondo alla regia, di uno spettacolo impeccabile. Una narrazione feroce, solitaria su una scena che ricorda e proietta gli scarni simboli di un sogno di periferia, capace di dar suono a tutte le corde di questo racconto dalla complessissima polifonia strutturale (come le migliori opere testoriane). Con umiltà e rigore Binasco guida un Donadoni stratosferico, nelle gallerie tragicomiche del testo, nelle sue scalate verso il sublime, i suoi accecanti riflessi erotici, in una rincorsa forsennata che esalta i ritmi narrativi del racconto e si fonde perfettamente con esso restituendogli una concretezza fisica che la pagina stessa,a volte (nella descrizione delle corse), sembra chiedere così decisamente, violentemente, testorianamente.
E’ un lavoro questo che senza dubbio sorprende per la finezza del dialogo tecnico tra drammaturgia e scena, nella profondità degli accenti toccati da Donadoni, i cui deragliamenti finiscono per essere strettamente complementari alle millimetriche sospensioni, alle accelerazioni, ai cambi di pendenza, avvicinando la sua prova ad una vera corsa ciclistica, forsennata sì, ma mai frettolosa.
A parte tutto, però, mi sembra importante notare come questo spettacolo restituisca limpidamente la vivida forza della pagina. Come esso rifletta in maniera fedele i molteplici livelli della scrittura facendo risuonare con estrema precisione gli echi più profondi della significante lingua testoriana, dando al pubblico teatrale una lettura del romanzo davvero di grande valore.
Per informazioni: www.cometa.org
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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