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Dialogo settimanale su teatro e danza.
ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024 al 25/11/2024
Aggiornato il lunedì sera
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Chiudere in bellezza |
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Apriamo il primo numero dell'autunno parlando dell'ultimo festival dell'estate. Che possa servire da incoraggiamento?
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di Gian Maria Tosatti
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DRO (TN) - A parte tutto credo sia determinante il periodo in cui Drodesera ha corso. A parte, dico, i risultati positivi che confermano la buona intuizione delle premesse. Determinante è il fatto che questo festival si tenga per ultimo nella lista degli eventi estivi di rilievo. Alla partenza, in giugno, dopo aver sepolto un'ennesima stagione teatrale di basso profilo, il popolo dei teatranti nomadi, cioè coloro che vanno incontro al palcoscenico (perché è inutile illudersi che esso vada incontro a loro), si mette in movimento lasciandosi alle spalle il sapore amaro di slogan morettiani tipo "con questi leader non vinceremo mai" e pregustando la dolcezza di un più ottimista "arrivano i nostri". In luglio inoltrato a molti torna in mente Leonardo Capuano, che nel suo Zero Spaccato, con accendo sardo(nico) si domanda: "Ma siamo sicuri che siano proprio i nostri?".
Puntualmente nei territori di queste migrazioni estive l'arma necessaria alla sopravvivenza è "l'occhiale selettivo", ovvero un particolare strumento in dotazione ai giornalisti (e talvolta rimediato di straforo alla borsanera dai semplici spettatori) che esalta la nitidezza delle figure positive e sfoca quelle meno convincenti. Assolutamente vietato ai comuni mortali è invece un altro strumento di sopravvivenza, necessario solo a chi i festival se li fa tutti: il "sorrisetto sim-patico", una membrana in lattice in grado di dare un'espressione fraternamente condiscendente, da applicare sopra le smorfie varie, fabbricata ad uso e consumo degli operatori e messa nella cartella stampa dei critici per gentile concessione. Quando si arriva ad agosto, ovvero alla vigilia di Drodesera questi strumenti sono ormai un tuttuno con la faccia di questi girovaghi da fiera, tanto che spesso ci si dimentica riporli sul comodino quando si va a letto lasciandoseli ancora sul viso. (Si racconta anche di alcuni noti che avendo dimenticato di aver già indossato un "sorrisetto sim-patico" ne hanno sovrapposti due o tre creando un tappo per la respirazione che li ha fatti passare a miglior vita nelle loro camere d'albergo).
Ebbene, dopo aver svelato questi trucchetti dei professionisti dello spettacolo o della platea il presente articolo ha l'unica funzione di sottolineare come vi siano luoghi in cui tali accortezze non siano necessarie.
Se non ci siamo stancati della metafora potremmo dire come, arrivati a Dro, si avverta un senso di disagio fisico... La vista è disturbata, la respirazione faticosa. D'istinto si pensa all'altitudine o all'aria di montagna, ma poco dopo ci si rende conto di aver indosso un paio di occhiali dalla gradazione mal calibrata e di avere una sorta di bavaglio gommoso davanti alla bocca...
Ecco. In sintesi questo potrebbe bastare. Dire che l'osservatore, una volta tanto si è sentito sollevato dalla responsabilità di essere "ben disposto" a vedere il bicchiere mezzo pieno. Non perché sia tutto "perfetto", quanto piuttosto per la chiarezza con cui il progetto è realizzato. I commenti, le osservazioni, dunque non chiedono indulgenza. Non c'è da abellire un disegno vago. Tutto è nero su bianco. Senza contorni tratteggiati. Chiede una partecipazione disinteressata.
Quest'anno il progetto è ulteriormente definito. La struttura rende il suo organismo più complesso. Dalla promozione passa alla "produzione" dimostrando di aver compreso quale sia la vera sfida di questi tempi, cioè permettere agli artisti di realizzare i propri lavori in autonomia e in tranquillità. Ma a tale cambiamento biologico di Drodesera dedicammo un articolo qualche settimana fa e invito i lettori a cercarlo in archivio. In questa sede, si affronta solo l'impatto dell'osservatore con la pratica di tale orientamento. Ma una nota da rilevare c'è, a supporto della tesi.
Quest'anno nei festival italiani si è avuto un netto incremento del pubblico. E' un dato positivo. Ma a Dro tale dato assume un valore particolare se si tinene conto della composizione della platea, affollata non solo dalla carovana di cui sopra, ma da soggetti diversi e rappresentativi in primo luogo del territorio di residenza su cui opera il festival e al quale è riferito chiaramente il disegno della manifestazione. Tra la piazza di Dro e una Centrale Fies in grande spolvero due settimane di proposte concepite in equilibrio e continuità fra quanto creato e prodotto durante l'anno e una riflessione su cosa proporre per stimolare i propri pubblici.
Tra i lavori di cui chi scrive è stato testimone sono da citare il Paesaggio con fratello rotto del Teatro Valdoca, la settima tappa de Il migliore dei mondi possibili di Roberto Castello, Ardis I di Fanny & Alexander, Come un cane senza padrone di Motus e una lettura di Mariangela Gualtieri su testi legati a Paesaggio.
Tra quelli che avrei voluto vedere e che per motivi di tempo ho perduto c'erano le due nuove creazioni di Virgilio Sieni, la Medea della compagnia Abbondanza Bertoni e ancora altro.
Non si ha lo spazio necessario per compiere un'analisi dettagliata di ogni lavoro e neppure sarebbe questa la sede appropriata. Qui esposta è una critica, è vero, ma non la critica di uno spettacolo, quanto piuttosto di qualcosa che gli si avvicina molto. Un festival, infatti, non è che una grande regia in cui spettacoli, pubblico e artisti sono componenti che collaborano assieme per far esperienza della bellezza. Al presente, guardandoci attorno, suona quasi come un'eresia, ma a Dro, Dino Sommadossi e Barbara Boninsegna non si curano delle definizioni e vanno avanti per la loro strada. |
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L’ultimo numero di LifeGate Teatro
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Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione.
Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -
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