Dialogo settimanale su teatro e danza.

ANNO 2025 NUMERO 12
Dal 18/11/2024
al 25/11/2024


Aggiornato il lunedì sera







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"Sembra, madre?"...  
Stanza 101 a Le vie dei festival: prove tecniche di reazione.      
di Gian Maria Tosatti      

ROMA - "Che cosa c'è nella Stanza 101?". Sentirla rivolgere ancora questa domanda... "Che cosa c'è nella Stanza 101?"...

C'è un pensiero... una opinione... una visione da un altro punto d'osservazione, prima ancora che un'urgenza di dire.

Stanza 101 è uno spettacolo teatrale di Vesuvio Teatro, ed è la destinazione dei colpevoli di "psicoreato" secondo George Orwell.

Venti spettatori siedono ad un tavolo. Ad un capo sta un ragazzo, dall'altro un funzionario di un (non tanto) ipotetica forza di governo. Assistiamo ad una conversazione-conversione tra la forza e la ribellione, tra l'ordine e la disarmata obiezione. È qualche cosa che la nostra civiltà conosce bene e che pure spesso non è capace di riconoscere, è qualcosa che sta intessuta nei nostri codici genetici di generazione di Auschwitz e di via Tasso, e che pure è lontana infinite lunghezze da quegli archetipi. È la ragionevolezza, cui si piegano i significati delle parole e con esse il senso della nostra labile memoria nominale. Un funzionario che "cura" un reazionario. "È storia vecchia", verrebbe da dire. Eppure non lo è. È storia di oggi. I riferimenti ci sono tutti. E allora stiamoli a guardare.

La drammaturgia dello spettacolo è costruita intrecciando brani di 1984 di Orwell (testo che in un'ipotetica Bibbia contemporanea verrebbe collocato tra i Libri dei Profeti assieme al Mondo Nuovo di Aldous Huxley) e passaggi dell'opuscolo elettorale Una storia italiana di Silvio Berlusconi.

È subito chiaro che la metafora non è delle più celate. Nell'ora circa di spettacolo vediamo trasfigurarsi nell'immagine del nostro attuale premier le visioni di totalitarismo e di controllo occulto che sono proprie del romanzo ispiratore e che sembrano sempre più somiglianti ai panorami odierni se si prova per un attimo ad immaginarne i "dietro le quinte". E sì, perché anche la scenografia di questo spettacolo sembra un grande set televisivo, con tanto di veline e valletti, un set che per certi versi ricorda il Truman Show.

Catene di riferimenti che si rincorrono in questo spettacolo, che si agitano come fruste a colpire per un momento il dorso di un tempo in cui sta attaccata la targhetta: "Presente". Lentamente le pareti del teatro sembrano scolorire per lasciare intravedere il fuori e scoprirlo diverso. È un immagine cupa quella che si presenta, che "sembra" vera, "sembra".

Frasi come: "Chi controlla il passato controlla il futuro. E chi controlla il presente controlla il passato", "Ma ti rendi conto di quanto tu sia solo?", diventano insidiose spie e iniziano ad agitarsi come corpi impazziti, pericolose meteore per lo spazio della scena. Che cos'è allora la Stanza 101? È un campo di concentramento invisibile, uno dei tanti che in cui prestiamo giornalmente il nostro servizio senza domandare. È uno spazio agghiacciante che, ancora, "sembra" vero, e in cui quello che vi appare, nelle sue relazioni con il presente e i suoi protagonisti, "sembra" vero. Ma se alla fine tutto ciò che abbiamo ascoltato ancora "sembra", perché così dev'essere, ecco che direttamente dall'occhio del grande fratello, appostato per le vie di Genova 2001, ci mostra come tutto questo è qualcosa che non solo "sembra".

È strano che lo spazio della speranza in questo cupo spettacolo arrivi proprio dalle immagini dei colpi, delle manganellate, dei volti insanguinati dei manifestanti del G8, ma tutto questo apre una riflessione che è forse la più importante di tutto questo spettacolo che spesso colpisce un po' più in là dell'obbiettivo per qualche tentennamento didascalico e che a volte non si dimostra abbastanza freddo per essere letale pur dimostrando la grinta di giovane guerrigliero.

La riflessione è che la repressione sistematica delle idee e della libertà di manifestarle ha ancora bisogno della violenza fisica, di qualcosa che ancora possiamo riconoscere senza esitazione.

La sintesi è che finché potremo riconoscere qualcosa potremo combatterlo.

In fondo Stanza 101 è uno spettacolo che dal punto di vista teatrale si presenta come un'opera di ottimo livello dal punto di vista della regia e della drammaturgia di Carlo Cerciello, e della ritmica costruita assieme al valido lavoro di attori giovani e capaci, capitanati da un grande Francesco Silvestri. Ci si trova di fronte ad una struttura che conosce bene il gioco della scena e i suoi meccanismi e che fa dell'umorismo un punto di forza (pur cosciente di doverne condividere il merito con l'involontaria genialità del co-autore Berlusconi).

Insomma siamo di fronte a chi conosce il gioco e le sue regole, tra cui la principale: per segnare non basta tirare, ma costruire gli schemi.

E dal punto di vista del teatro ciò dimostra la capacità di raggiungere il pubblico, di colpirlo. In base a questo, forse, mi piace allora pensare che Stanza 101 sia qualcosa che va oltre l'essere uno spettacolo, che sia qualcosa di diverso dal teatro, come il teatro dovrebbe essere.

Mi piace mantenere la sensazione che ho avuto uscendo dalla sala, quella di aver assistito al germe di un atto civile. E di questo credo vada reso merito al coraggio tutti i protagonisti di questa operazione singolare (e auspicabilmente non singola), dal gruppo di Vesuvio Teatro all'organizzazione che li ha ospitati al Teatro Sala Uno, quel Le vie dei Festival diretto da Natalia Di Iorio che non è nuovo a queste proposte e che si dimostra sempre più necessario nel panorama del teatro non solo romano.

L’ultimo numero di LifeGate Teatro
Pubblichiamo oggi, 30 marzo 2005 l’ultimo numero di LifeGate Teatro, settimanale di teatro e danza che per due anni e mezzo ha compiuto la sua attività editoriale all’interno del progetto LifeGate. Sono stati mesi importanti per noi. Abbiamo cercato di cambiare il modo di fare giornalismo teatrale. Di rifondare la critica italiana cercando di capire quale fosse il suo ruolo in questo presente storico. La nostra sfida non era riuscirci. Era provarci. E forse ci abbiamo provato piuttosto bene.
On-line rimarranno gli archivi di questi due anni. Il lettore “postumo” potrà trovarvi le tracce del nostro lavoro e certamente dei contributi utili alle sue ricerche sul teatro italiano contemporaneo.
Per il numero di chiusura avevamo chiesto ai nostri lettori di scrivere qualcosa su di noi. Alcuni lo hanno fatto. E pubblichiamo i loro piccoli, ma importanti, contributi nei due articoli intitolati Bon nuit. Altri, davvero molti, hanno preferito mandarci messaggi di carattere più strettamente personale, che scegliamo di non pubblicare. Ma li ringraziamo tutti. Quelli di cui riportiamo i commenti e quelli, troppi per poterli citare, di cui conserveremo gli appelli alla resistenza, che per noi sono stimolo di trasformazione. Per chiudere ci sembrava infine giusto puntare ancora una volta l’obiettivo su un problema centrale, quello che ha dato vita due anni e mezzo fa a questa rivista, ovvero la necessità di esigere di più dalla critica italiana. E un dovere degli artisti e noi ad essi ci rivolgiamo.
- Redazione Teatro -