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Sul grande schermo di LifeGate.
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Di nascita |
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La tragedia della Shoah nelle sensazioni, nei modi, nei ricordi. |
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Regia: Robert Schindel e Lukas Stepanik
Interpreti e personaggi: Peter Simonischek (Hermann Gebirtig), Daniel Olbrychski (Konrad Sachs), Ruth Rieser (Susanne Ressel)
di Sergio Ragaini
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Un film sulla Shoah, l'olocausto. Un qualcosa che poteva dire una serie di cose già dette, poteva proporre luoghi comuni, senza aggiungere nulla di nuovo ad una pagina terribile della nostra storia d'Europa. Un lavoro in cui, quindi, era facile cadere in uno dei deja vu di cui il Mondo del Cinema, e non solo, è pieno.
Il viennese Robert Schindel riesce, invece, a proporre qualcosa di originale, di nuovo, di particolare, in cui la tragedia dell'Olocausto è presente nelle sensazioni, nei modi, nei ricordi, ma dove al centro ci sono le persone. Oggi. Persone che ricordano, nel loro essere, quei periodi, seppur per contrapposte sensazioni.
Lo stesso titolo è particolare: in tedesco, infatti, suona Gebürtig. Pronunciato alla Yddish (tutti i protagonisti sono ebrei) diviene Gebirtig. Ed Hermann Gebirtig è uno dei protagonisti del film.
Una persona che, dopo essere emigrato dall'Austria, paese nel quale ha trascorso quattro anni in campo di concentramento a Ebensee, luogo in cui ha perso entrambi i genitori, vive a New York, dove è diventato un famoso compositore. Il suo tornare a Vienna, per riconoscere un ufficiale delle SS, denominato sinistramente "Trita teschi", è un tuffo nel passato, è un tornare davvero alle proprie radici. Di Nascita, infatti, può stare a simboleggiare proprio il tornare alle origini, il tornare a quello che sono le provenienze e le storie di ogni persona, compiere un metaforico tuffo alla ricerca di sé, in modo da poter ricostruire una parte del proprio cammino umano, o ritrovare dei significati perduti della propria esistenza.
Tutti i personaggi presenti sono strettamente legati all'olocausto: per alcuni è sofferenza ricordare quello che si è stati: è il caso, ad esempio, di Konrad Sachs, il cui padre, Theodor, era stato uno spietato medico nazista a Dachau. In tutti i personaggi è evidente lo specchiarsi nel passato, l'affrontare un ipotetico viaggio nella memoria, per capire e poter continuare. Un viaggio nella memoria che, talvolta, non è il proprio viaggio, ma quello della famiglia, spesso sterminata dalla Shoah, ma pur sempre presente nella memoria storica del ritorno a sé stessi, per poter affrontare, magari, una nuova rinascita. Non è un caso che Hermann, in una scena del film, dirà a Konrad di scrivere la storia del padre. Sarà doloroso, afferma, ma poi potrà sentirsi libero.
In questo, come in altri casi, si intravede una sorta di purificazione, un ipotetico togliersi un peso. Il regista, però, percepisce maggiormente la cosa come un superamento del crimine, una sorta di accordo che viene, tacitamente, stipulato tra le nuove generazioni, su cui non deve ricadere il peso di ciò che le vecchie hanno compiuto.
In molti casi, la commistione tra passato e presente è molto forte, sino a generare la fusione dei due piani. Molto belli, in tal senso, appaiono i deliri di Konrad, il quale vede muoversi sulla scena personaggi del passato, quasi in un'allucinazione, per sancire come ciò che è stato, sinché non lo si è davvero elaborato, è ancora presente in noi, e solo accettandolo per quello che è, prendendone coscienza e capendo che "questo è stato" (parafrasando una frase di Primo Levi), si può proseguire più leggeri verso il futuro. Anche Hermann, nel suo tornare a Vienna, trova il passato costantemente presente. Lui stesso ha paura ad intraprendere il viaggio, non sa come è ora la città. Quando, infatti, giunge in centro, ricorda che, allora, si chiamava "primo distretto".
Specchiandosi nelle vetrine dei caffè dove nulla sembra essere cambiato si rivede fanciullo, con i suoi genitori tragicamente scomparsi, e rivive un frammento della sua storia.
Lo spunto per il ricordo arriva brillantemente dal Regista, ponendo una parte del passato come un film che si girava in uno dei monumenti più tristemente noti del Nazismo: Auschwitz. Un film dove i protagonisti sono tra gli stessi ebrei che hanno, direttamente o indirettamente, vissuto l'olocausto. Un film che va a richiamare poi il film interiore di ognuno. Un film che, seppur finzione, è intriso di realismo vissuto. La sofferenza sul volto dei protagonisti ad Auschwitz, ritrovandosi di colpo nella loro storia personale, dice in modo molto chiaro cosa essi hanno vissuto e vivono tuttora nel luogo.
La vicenda è ambientata negli anni 80 del 1900. Un'epoca, quindi, in cui la shoah era sì lontana, ma non così lontana da aver cancellato quasi tutti quelli che l'avevano vissuta (ambientarla oggi avrebbe avuto già qualche difficoltà temporale in più), e non tale da affievolire troppo il ricordo. nello spazio fisico, il racconto si sviluppa principalmente a Vienna, con passaggi anche ad Amburgo e a New York. Konrad è giornalista per un giornale di Amburgo. Il suo lavoro non è casuale, o non appare tale: il giornalista, infatti, racconta e riporta delle vicende, deve scavare nei fatti, trovare dei nessi, ricercare anche quelle cose che non appaiono evidenti. Nella nostra storia, il suo lavoro appare piuttosto legato ad una ricerca su di sé di tutti i personaggi: una sorta di "giornalismo personale", di auto scoperta, di auto definizione di sé.
Tutto il racconto è racchiuso in una voce fuori campo, quella di Daniel Demant, detto Danny, cabarettista e musicista, che nei suoi spettacoli mette in risalto sé stesso, la sua vicenda umana di ebreo, le sensazioni che un ebreo doveva provare un tempo e, forse, in parte anche oggi. In uno dei passaggi egli dice di voler scrivere un libro.
Anche questo riferimento non è casuale. Il regista, infatti, non si ritiene un vero regista, ma uno scrittore. È infatti affermato scrittore e poeta austriaco. Il libro da cui è tratto il film è suo, ed è del 1992. Lui stesso ha detto che il passare dal romanzo al film non è stato difficile, perché già il libro era fortemente figurativo.
Di certo "figurativo" è il film, e fatto di immagini molto belle e, a tratti suggestive.
Un modo per fare riflettere su un problema, ma soprattutto per osservare come è possibile guardarlo ed accettarlo, accettarsi, capire per lasciare alle spalle, affrontare per essere maggiormente sé stessi, più consapevoli di quello che si è davvero, e più capaci di lasciare andare il negativo per essere veramente proiettati ad una visione diversa, più vera, delle cose.
Una riflessione sul razzismo che, come lo stesso regista diceva, non lascia immune nessuno. Lui stesso afferma che è proprio chi se ne propugna immune ad averne più radicato il seme.
Un modo per capire, ma soprattutto per gustare la descrizione un fatto noto e già ampiamente mostrato in modo nuovo, interessante, che è in grado di aggiungere qualcosa ad un discorso che può apparire ormai chiuso.
Il tutto con la forza di idee di qualità ed una grande voglia di mostrare ed esprimere, esprimersi, far esprimere realmente ognuno di noi in quello che di più profondo abbiamo radicato. E questo non è poco di certo.
Regia: Robert Schindel e Lukas Stepanik
Interpreti e personaggi: Peter Simonischek (Hermann Gebirtig), Daniel Olbrychski (Konrad Sachs), Ruth Rieser (Susanne Ressel)
Sceneggiatura: Georg Stefan Troller, Robert Schindel, Lukas Stepanik
Direttore della fotografia: Edward Klosinski
Musica: Peter Ponger
Produzione: Cult Film Wien, Extrafilm Wien, DaZu Film, Akson Studio Warszawa
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Cinema "Oltre il Cinema" di scena nei comuni della provincia di Como
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Una rassegna di Cinema per "Andare oltre". Per guardare anche alla Società, a quello che ci circonda, con occhio attento e critico. Questo lo scopo della rassegna "oltre lo sguardo". Dal 9 ottobre 2004 al 28 maggio 2005, in diversi comuni del comasco, saranno proiettati film di qualità, uniti ad interventi di rappresentanti del mondo del Sociale i quali, prendendo spunto dal film, tratteranno tematiche spesso ignorate, ma degne di essere conosciute e valorizzate. Tessera dalla cifra simbolica, che dà diritto a tutte le proiezioni.
Info:
Coordinamento Comasco per la pace - www.comopace.org ; [email protected]
Oltre lo sguardo - www.ecoinformazioni.rcl.it ; [email protected]
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Addio Janet Leigh
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"Sì, dopo aver girato Psycho non fece mai più la doccia. No, l’acqua non era fredda, Hitchcock si premurò perché la doccia gettasse acqua calda per tutti i 7 giorni di riprese necessari per la scena... Sì, lei era nuda sotto la doccia, ma in nessuna inquadratura, per quanto brevissima, si vedono i capezzoli: problemi di censura, in quel lontano 1960.
Bisogna partire da lì, da quella scena - una delle tre o quattro più famose della storia del cinema - per raccontare la vita di Janet Leigh, morta ieri all’età di 77 anni".
È morta "serenamente, a casa sua" l'attrice americana Janet Leigh. La notizia è stata data dal portavoce della figlia: Jamie Lee Curtis è stata al capezzale della madre insieme all'altra figlia, Kekky, e a Robert Brandt, secondo marito di Janet Leigh. Dal 1951 al '62 l'attrice era stata moglie di Tony Curtis. Tra i molti film interpretati, 'Safari', 'L'infernale Quinlan'. |
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