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Sul grande schermo di LifeGate.
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Passe Partout per l'inferno
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Federico ci ha abituato ad un cinema trasgressivo, incisivo, particolare. Un Cinema che si basa sulla forza di chi recita, sulla capacità creativa dell'attore, sulla sua potenzialità nel dare qualcosa di efficace e positivo.
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di Sergio Ragaini
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La descrizione di situazioni estreme fa parte del suo Cinema. Chi ha visto lavori come Storia Malata, Whisky, i pesi di Pippo, lo capisce da sé. Nel suo Cinema emerge costantemente il tessuto urbano degradato, il degrado umano, la rabbia per il modo in cui ci troviamo ma, sovente, anche la voglia di costruire un mondo migliore, più a misura d'Uomo.
In "passe partout per l'inferno" Federico va oltre tutto. Probabilmente anche oltre qualsiasi possibile riflessione e aspettativa. Portando a compimento un discorso, attraverso immagini che si commentano da sole.
La libertà estrema nel linguaggio, la sua estremizzazione, il lavorare su tinte forti, su colori accesi, su atmosfere deliranti, su un'inquietudine che pervade tutta la narrazione, sono i suoi punti di forza. Infatti le atmosfere, sempre molto caricate in tutto il suo Cinema (vedasi, ad esempio, "I pesi di Pippo"), stavolta sono superiori ad ogni possibile immaginazione. Il tessuto sociale estremo si stempera, con forza, nella rievocazione del nazismo, che sfocia poi nelle messe nere, nel satanismo, nelle sedute spiritiche.
Tutti mezzi, probabilmente, per esprimere una disgregazione di una società, i cui valori imposti dai media sembrano incapaci di reggerne il peso (in troppi casi si sono costruite mostruosità), ed in cui, non sempre, si vede un uscita. Anche qui il riferimento ai media è presente, in modo incisivo e molto sconsolato.
Il tunnel esistenziale entro il quale i personaggi si trovano si esprime anche nel luogo fisico: una casa disabitata, quasi in rovina, nell'entroterra della Lucania. Un luogo isolato per isolare i personaggi, naturalmente estremi: quattro neo nazisti, un personaggio oscuro, anche lui allineato con i valori dell'estrema destra, e sua moglie, che suo malgrado si trova vittima delle circostanze. Anna, infatti, appare impaurita, terrorizzata, ed il suo terrore, talvolta espresso in maniera grottesca (anche questo è un eccesso voluto), si scontra con l'apparente coraggio degli altri, con la loro durezza (ma è vera durezza o, in realtà, una forma molto forte di autodifesa, un'ennesima paura della Realtà, un paravento per nascondere sé stessi?). I suoi pianti, la sua disperazione, appaiono qui più forti, proprio perché contrastanti con l'aggressività estrema degli altri.
In questo lavoro le scansioni temporali appaiono completamente rimescolate. Forse per enfatizzare il delirio in cui ci si trova. Una storia, che ne vede al suo interno un'altra, la quale ne apre un'altra ancora, che appare in un passato più remoto. Un passato che, però, si mescola e si fonde con il presente, si lega indissolubilmente ad un'eliminazione completa di qualsiasi dimensione temporale. Così come, in questo luogo - non luogo, lo spazio, almeno come noi lo intendiamo, sembra completamente annullato, anche il tempo appare completamente privo di valore e significato. Essere qui o in un'altra epoca non ha importanza: al di là di tutto si è e basta. O forse non si è, si vive, si vegeta solo, in una sorta di limbo senza dimensione, dove nulla ha più un vero significato, se non un carico di orrore e distruzione. Addirittura può apparire come autodistruzione.
Situazioni inquietanti, come già dicevo prima. Che sicuramente vanno a scuotere nel profondo lo spettatore. Situazioni che lasciano sgomenti. La stessa seduta spiritica, con quello che poi ne segue, è in linea con questo modo di percepire. Ma lo scopo, almeno apparente, non è solo quello di colpire, ma quello di farci pensare. L'odio razziale, il mostrare la non tolleranza per chi è diverso, l'ostentazione della forza bruta contro chi non può difendersi sono un esempio molto chiaro di cosa possa essere una società in cui il capro espiatorio è costantemente il più debole, colui che non può difendersi. Dove il non essere allineati con strutture canonizzate può costare l'emarginazione, l'abbruttimento umano, addirittura l'annullamento totale.
Stavolta, però, anche i forti appaiono deboli, e la loro debolezza, cui prima accennavo, emerge allorché le circostanze lo consentono. Come un ingranaggio di certezze che loro stessi si sono costruiti, un ingranaggio all'apparenza potente, ma per cui basta un piccolo granello di sabbia per farlo fermare. Forse la loro arroganza, la loro tracotanza, la loro violenza è dovuta all'esorcizzare questo granello, al rimanere sempre su binari di certezza, evitando di misurarsi con qualcosa che potrebbe portare a riconsiderare la propria posizione nel Mondo e nelle cose.
Di certo, di certezze questo film ne mina molte. A cominciare dal modo con cui è descritto, e dall'estremo realismo con cui è costruito.
Come in tutto il cinema del Regista, i personaggi non recitano, vivono. La stessa protagonista femminile, Caterina (Anna nel film) ha dichiarato che, in alcuni momenti, la paura che appariva era vera paura, ed il suo malessere era vero malessere per le situazioni che si andavano a girare.
Tutto in linea con lo spirito di Federico, dove una sceneggiatura rigida ha poco significato, e limita la vera essenza di un attore. Qui i dialoghi non erano scritti, si lasciava tutto a chi recitava, o meglio, viveva quelle scene. Immedesimandovisi in modo completo, totale, integrale. Per un realismo che lo spettatore non può non avvertire, ascoltando davvero, interiormente, la paura, la forza, la speranza, l'incertezza, la mancanza di consapevolezza, il rifugiarsi dietro schemi e valori quasi meccanici per non chiedersi veramente chi si è e cosa si vuole.
Certezze minate anche dal modo di fare Regia: inquadrature veloci, spesso apparentemente confuse (ma solo in apparenza, in realtà perfettamente calcolate!), musica incalzante, a tratti ipnotica, ambienti al limite dell'irreale.
Per farci riflettere, pensare, per volerci far capire e sperare in un Mondo dove la paura del diverso sia solo un ricordo. Sicuramente, è questo è bellissimo, si capisce che la speranza di un Cinema lontano dai fasti, fatto di e con poco, ma nel quale si crede, esiste ed è presente. Anzi, lo possiamo vedere e l'abbiamo visto. Anche questa è speranza per il futuro. Anzi, fortunatamente certezza per il presente.
Regia e montaggio: Federico Rizzo
Soggetto e Sceneggiatura: Federico Rizzo ; Sabino Muggeo
Musiche originali: Guido Tognarini
Fotografia : Chiristian Maggi ; Matteo Youssoufian
Suono in presa diretta : Vincenzo de Masi
Scenografia, trucco e costumi : Donatella Podano
Aiuto montatore : Valentina Andreoli
Organizzatore generale : Giuditta Picchi
Post - Produzione audio : Riccardo Milano ; "Omnibus Studio"
Post - Produzione video : Associazione Cinematografica Pandora
Direttore di produzione : Francesca Milano
Produzione : Giuditta Picchi ; Alan Prese ; Federico Rizzo per E' voluto film
Interpreti principali: Andrea Abbatista ; Emanuele Asprella ; Caterina Castagna;
Enrico Gramegna ; Alan Prese ; Dimitri Rondina
Sito Web : www.evolutofilm.com
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Cinema "Oltre il Cinema" di scena nei comuni della provincia di Como
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Una rassegna di Cinema per "Andare oltre". Per guardare anche alla Società, a quello che ci circonda, con occhio attento e critico. Questo lo scopo della rassegna "oltre lo sguardo". Dal 9 ottobre 2004 al 28 maggio 2005, in diversi comuni del comasco, saranno proiettati film di qualità, uniti ad interventi di rappresentanti del mondo del Sociale i quali, prendendo spunto dal film, tratteranno tematiche spesso ignorate, ma degne di essere conosciute e valorizzate. Tessera dalla cifra simbolica, che dà diritto a tutte le proiezioni.
Info:
Coordinamento Comasco per la pace - www.comopace.org ; [email protected]
Oltre lo sguardo - www.ecoinformazioni.rcl.it ; [email protected]
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Addio Janet Leigh
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"Sì, dopo aver girato Psycho non fece mai più la doccia. No, l’acqua non era fredda, Hitchcock si premurò perché la doccia gettasse acqua calda per tutti i 7 giorni di riprese necessari per la scena... Sì, lei era nuda sotto la doccia, ma in nessuna inquadratura, per quanto brevissima, si vedono i capezzoli: problemi di censura, in quel lontano 1960.
Bisogna partire da lì, da quella scena - una delle tre o quattro più famose della storia del cinema - per raccontare la vita di Janet Leigh, morta ieri all’età di 77 anni".
È morta "serenamente, a casa sua" l'attrice americana Janet Leigh. La notizia è stata data dal portavoce della figlia: Jamie Lee Curtis è stata al capezzale della madre insieme all'altra figlia, Kekky, e a Robert Brandt, secondo marito di Janet Leigh. Dal 1951 al '62 l'attrice era stata moglie di Tony Curtis. Tra i molti film interpretati, 'Safari', 'L'infernale Quinlan'. |
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