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In cerca di identità |
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Il fotografo bosniaco Zijah Gafic testimonia l'impatto psicologico e umano che questa guerra ha avuto nel suo paese. Un'importante documentazione fotografica sulle conseguenze della guerra e della dolorosa e non facile identificazione delle vittime. |
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di Sonia Tarantola |
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(24/01/2003) |
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Zijah Gafic |
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Nato nel 1980, inizia il suo percorso lavorativo in un giornale locale di Sarajevo, dove lavora per quattro anni. Nel 1999 si reca in Macedonia e Albania per occuparsi della crisi dei rifugiati. Dopo questo incarico lascia il giornale per diventare fotografo freelance. Durante un workshop incontra Paul Lowe, con il quale fonda la prima galleria dedicata alla fotografia nella ex-Yugoslavia.
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Negli ultimi due anni si è dedicato alla documentazione fotografica delle conseguenze umane e psicologiche del conflitto bosniaco; ha realizzato una serie di reportage sugli aspetti più frustranti scaturiti dalla guerra e sulle spaventose condizioni nella Bosnia del "dopo-Dayton" affrontando tematiche quali il ritorno dei profughi, i crimini di guerra commessi durante i quattro anni di conflitto per l'indipendenza, il problema dell'identità nazionale
La Ian Perry Foundation premia le sue immagini di "The Last Bosnian village" e, al concorso World Press Photo del 2001, vince un secondo premio con lo stesso lavoro. Lo stesso anno partecipa al Joop Swart Masterclass.
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A World Press Photo 2002 viene premiato con un primo e un secondo premio in due diverse sezioni tematiche, con "Quest for ID", un lavoro sui crimini di guerra in Bosnia, e con un secondo lavoro, "My family Album". La città di Praga lo seleziona tra i vincitori di WPP e gli assegna il suo premio annuale per la fotografia. Lo stesso anno vince il Prix Kodak du jeune Reporter, assegnatogli lo scorso settembre a Perpignan in contemporanea con la presentazione della sua mostra sulla Bosnia.
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Gafic ha saputo comporre con immagini di grande intensità e lucidità un racconto profondo, in cui traspaiono tutti i suoi sentimenti di ragazzo, spettatore impotente di una guerra ingiusta, di un conflitto che ha sconvolto i pensieri e il futuro della sua generazione.
"Oggi, quando fotografo, ho nelle narici l'odore della polvere da sparo e nelle orecchie il rumore di vetri in frantumi. Lo scatto dell'otturatore mi riporta alla mente le immagini della mia infanzia vissuta in mezzo alla guerra".
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Gaetano Pesce. Il rumore del tempo
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Fino al 18 aprile alla Triennale di Milano in mostra oltre 2000 pezzi tra oggetti, disegni, foto, testi per avvicinare lo spettatore a un mondo fatto di nuove forme, nuovi materiali e colori diversi capaci di creare oggetti uno diverso dall’altro. Il concetto del tempo come “dimensione privata” è il cardine della mostra insieme al concetto di caducità di ogni cosa. Una mostra che coinvolge lo spettatore. Orari: tutti i giorni 10.30-20.30. chiuso il lunedì. Info: www.triennale.it
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Ci resta il nome
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Fino al 13 marzo al Museo di Storia Contemporanea in via Sant’Andrea a Milano una mostra fotografica di Isabella Balena racconta i luoghi della memoria della II Guerra Mondiale in Italia. Le immagini raccontano cimiteri militari, zone di sbarco e di battaglia, comunità locali vittime di eccidi. Orari: 9.30-12, 14-17.30. Chiuso lunedì. Ingresso libero. Info: www.museidelcentro.mi.it
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RENATO GUTTUSO opere della Fondazione Francesco Pellin
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La più rilevante raccolta di opere pittoriche di Guttuso attualmente esistente per la prima volta in mostra a Milano alla Fondazione Mazzotta con 77 dipinti e 47 disegni realizzati tra il 1931 e il 1986. Orari: 10-19.30, martedì e giovedì 10-22.30. Chiusa il lunedì. Info: www.mazzotta.it
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MARIO MERZ
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Fino al 27 marzo a Torino, una duplice mostra che celebra cinquant'anni di carriera del pitto-scultore, assemblatore-installatore, costruttore esistenziale e concettuale Mario Merz, alla Galleria civica d'Arte Moderna e Contemporane (info.0114429518) e al Museo d'arte Contemporanea Castello di Rivoli (info.0119565222).
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